Guide Galattiche ed altre idee

Ho finito oggi, complice l’influenza che mi ha impedito (finalmente dopo tre mesi) di lavorare negli ultimi giorni, la pentalogia di Douglas Adams sulla Guida Galattica per Autostoppisti, iniziata solo sei anni fa insieme al dottorato (mi porterà bene?).

Non credo di spoilerare nulla se dico che secondo me Douglas Adams si era abbondantemente rotto le scatole di parlare di Arthur Dent, Ford Prefect & Co.. “So Long…” è essenzialmente noioso, e “Mostly Harmless” ha solo qualche perla sparsa (oltre al finale estremamente esplicito). Insomma il mio consiglio è un po’ come per Matrix, Ender’s Game o Rama (dei quali consiglio di vedere/leggere però solo il primo): leggete assolutamente il primo romanzo, il secondo anche è notevole, il terzo se volete, ma poi fermatevi.

Questo non significa che non continui ad essere un grande fan di Douglas Adams, uno dei più geniali scrittori mai vissuti, che è stato capace di inventare il genere della fantascienza comica, e che forse è la lettura più efficace per diventare atei ed acquisire un po’ di sano senso critico nei confronti del mondo che ci circonda. Unico caveat: se non avete alle spalle una buona dose di cultura fantascientifica, è probabile che molte delle sue battute non le capiate…

In conseguenza di ciò, ho deciso di festeggiare anch’io il “Towel Day” il 25 maggio: chi partecipa?

E per concludere l’argomento, ecco alcune perle sparse dai vari romanzi:

A common mistake that people make when trying to design something completely foolproof is to underestimate the ingenuity of complete fools.

There is a feeling which persists in England that making a sandwich interesting, attractive, or in any way pleasant to eat is something sinful that only foreigners do.
“Make ‘em dry,” is the instruction buried somewhere in the collective national consciousness, “make ‘em rubbery. If you have to keep the buggers fresh, do it by washing ‘em once a week.”
It is by eating sandwiches in pubs on Saturday lunchtimes that the British seek to atone for whatever their national sins have been. They’re not altogether clear what those sins are, and don’t want to know either. Sins are not the sort of things one wants to know about. But whatever their sins are they are amply atoned for by the sandwiches they make themselves eat.

She thought that trying to live life according to any plan you actually work out is like trying to buy ingredients for a recipe from the supermarket. You get one of those trolleys which simply will not go in the direction you push it and end up just having to buy completely different stuff. What do you do with it? What do you do with the recipe? (ndr: non vi ricorda Leroy Merlin?)

He had had a nasty feeling that that might be an idiotic thing to do, but he did it anyway, and sure enough it had turned out to be an idiotic thing to do. You live and learn. At any rate, you live.

It can be very dangerous to see things from somebody else’s point of view without the proper training.

“An SEP,” he said, “is something that we can’t see, or don’t see, or our brain doesn’t let us see, because we think that it’s somebody else’s problem. That’s what SEP means. Somebody Else’s Problem. The brain just edits it out, it’s like a blind spot. If you look at it directly you won’t see it unless you know precisely what it is. Your only hope is to catch it by surprise out of the corner of your eye.”

Anything that thinks logically can be fooled by something else which thinks at least as logically as it does.

‘Protect me from knowing what I don’t need to know. Protect me from even knowing that there are things to know that I don’t know. Protect me from knowing that I decided not to know about the things that I decided not to know about. Amen.’ […]
‘Protect me from the consequences of the above prayer. Amen…’  Most of the trouble people get into in life comes from missing out that last part.

Rimanendo in tema di fantascienza, mi stupisce che dopo gli eventi recenti dei meteoriti, nessuno abbia parlato del romanzo di Clarke “The Hammer of God” (o, possiblmente, del meno noioso racconto da cui è ispirato), in cui tentava per l’ennesima volta di mettere in guardia l’umanità sul pericolo che questi oggetti rappresentano per noi tutti.

Venendo invece alle idee, ne sto “coccolando” altre due/tre, oltre a quelle del post precedente.

L’efficacia della “comunicazione” umana e le reti di potere

Una riguarda il significato di “comunicazione” ed un ripensamento sull’efficacia della comunicazione nel “sistema-cultura umano”. Chiunque conosca un po’ di teoria dell’informazione, è perfettamente conscio che lo scambio e la circolazione delle informazioni tra esseri umani è molto più che sub-ottimale. Diciamo che fa cagare. Almeno in rapporto ai modelli teorici sulla comunicazione ottimale, e alle applicazioni pratiche, come ad esempio le reti di calcolatori. In altri termini, se una civiltà aliena di computer ci studiasse, rimarrebbe probabilmente basita dal fatto che noi umani “funzioniamo” nonostante la miserrima qualità delle nostre capacità comunicative e decisionali. Insomma, madre natura, nel “progettare” le modalità con cui ci scambiamo informazioni e ci coordiniamo, ha fatto un lavoro davvero scarso. Anche tenendo conto di fattori come la necessaria ridondanza (sia delle connessioni, sia dei messaggi).

Se studiamo la questione da un punto esclusivamente di scambio di informazioni (incluse quelle non verbali), la quantità di informazioni inutili che ci scambiamo è pressoché il 100%. Tuttavia qualsiasi libro di etologia ci insegna che si parla di comunicazione quando un animale influenza il comportamento di un altro (perdonate la versione ipersintetica). Vista in quest’altra ottica, noi esseri umani siamo riusciti a creare un sistema estremamente complesso ed efficace di comunicazione. La spinta evolutiva ci ha portato a livelli di eccellenza in questo campo, ben al di sopra, probabilmente, di qualsiasi altra società animale. La comunicazione delle informazioni è probabilmente arrivata solo in un momento molto tardo, mentre la coordinazione tra individui si è sviluppata sui binari (già collaudati da moltissimi altri animali) della influenza reciproca. O, per capirci, del potere.

Detta in altri termini, noi esseri umani siamo la punta di diamante nelle reti per la gestione del potere. Tutto ciò che facciamo è catastrofico da un punto di vista dello scambio delle informazioni, ma non è poi così importante, perché siamo invece perfetti nel farci indurre a fare qualcosa da qualcuno con più potere, o nell’esercitare il potere sugli altri. In questa complessa rete gerarchica (non è una piramide, come cercherò di spiegare), non è l’informazione che conta, bensì la coordinazione è data proprio da questa influenza reciproca. E’ come se fossimo continuamente spinti e strattonati da un lato e dall’altro da varia gente, e a nostra volta, per puro tornaconto personale, spingessimo e strattonassimo chi ci sta intorno nelle direzioni dove ci fa comodo che essi vadano. Poiché ciò che conta, da un punto di vista Darwiniano, è la capacità di sopravvivenza complessiva della specie, questo sistema, per quanto dispendioso e per altri fini inefficace, si è evidentemente dimostrato ottimale per la nostra sopravvivenza e proliferazione.

Prima di andare oltre, è opportuno subito far notare che questo sistema basato sullo sfruttamento e sul controllo, giunti al nostro livello di “evoluzione” (e soprattutto di espansione), comincia a dimostrarsi controproducente. A prescindere dalla sua “ingiustizia” (concetto che evidentemente in etologia ha poco senso), il problema è che questo istinto allo sfruttamento in maniera incontrollata e non coordinata, sta nullificando le risorse dell’unico pianeta che abbiamo a disposizione. La morale della storia non voleva essere che dovremmo imparare ad essere più buoni, naturalisti, e meno numerosi, e comunicare più efficacemente. Sarebbe bello, ma credo che vista la “perfezione” raggiunta nella gestione del potere e dello sfruttamento, ci troviamo in un cul-de-sac evolutivo che difficilmente (per usare un eufemismo) potrebbe sfociare nell’acquisizione di caratteristiche più razionali e nella perdita di queste di cui parliamo.

Risolta quindi la questione “morale” (che utopisticamente mi auguro venga presa globalmente in considerazione), questo “cambio di paradigma” può invece essere utile a capire i tanti paradossi della nostra società, e ad accettare le tante assurdità cui assistiamo. Un problema dei razionalisti è infatti spesso la poca pragmaticità. Poiché riteniamo che tutto segua leggi razionali, laddove ci sembra che qualcosa sia irrazionale, pretendiamo di modificarlo per renderlo razionale, oppure ce ne distacchiamo pur di non vivere la frustrazione di avere a che fare con qualcosa che non capiamo. Probabilmente è proprio a causa del caos e del rumore insito nella “comunicazione” nella nostra società, che molte delle menti più brillanti tendono ad isolarsi. D’altronde, è davvero difficile trovare qualcosa non dico di razionale e giusto, ma almeno di ragionevole in qualsiasi società umana.

Probabilmente sto solo scoprendo l’acqua calda. D’altronde il mondo è pieno di persone che dominano con totale naturalezza le regole della gestione del potere, e qualsiasi essere umano nasce già con queste capacità. La differenza è che alcuni pragmaticamente le accettano per come sono, senza ragionarci troppo, e passano l’intera vita ad affinare le proprie innate doti di controllare il prossimo, altri (idealisti e/o razionalisti) invece le rifiutano in cerca di un sistema più ragionevole e/o giusto, e si condannano a vivere una vita di frustrazioni, isolamento e povertà.

La mia folgorazione è stata però l’aver trovato una spiegazione razionale all’esistenza di questo sistema di società totalmente ingarbugliato e senza senso. Questo non significa che ora lo trovo più sensato, né men che mai giusto (come qualche superomista che non ha mai letto Nietzsche potrebbe concludere), e non significa che sono pronto a cambiare il mio modo di essere e di vivere per diventare vincitore nella lotta fratricida per il potere, è solo che spero di sentire meno la necessità di isolarmi perché trovo incomprensibile ciò che mi accade intorno.

Il problema, a questo punto, sta nel comprendere tutte le implicazioni dell’aver capito che la forza della “comunicazione” umana non è nel messaggio, ma nel controllo del comportamento altrui. Da un punto di vista macroscopico, è facile immaginare un enorme organismo, in cui appunto le varie cellule si spingono e strattonano a vicenda, ed in questo marasma riescono a funzionare organicamente non grazie allo scambio delle informazioni sul da farsi, ma grazie all’influenzarsi a vicenda. In ciò, l’organismo può tranquillamente non sapere dove vuole andare, e così anche ogni cellula. Se ad esempio è in cima ad una collina, la forza di gravità spingerà a scendere. Ogni singola cellula sarà naturalmente spinta verso il massimo tornaconto personale, ovvero il minimo di energia, ovvero, nell’esempio, verso il basso. A forza di tirarsi e spingere a vicenda, per tentare di andare ciascuna verso il basso, questa massa di singole cellule si sposterà (quasi) tutta giù a valle, e l’organismo, senza che nessuno l’avesse progettato, deciso o pensato (e quindi tantomeno comunicato), si ritroverà nel punto di minimo.

E’ evidente che è un sistema enormemente meno efficiente che coordinarsi razionalmente ed esplicitamente, ma ha l’innegabile vantaggio di non necessitare di “doti superiori” di ragionamento e di scambio di informazioni. Insomma, funzionava anche all’età della pietra, prima dei computer, della sociologia e di Watzlawick. Ciò che risulta frustrante è che continui ad essere usato sostanzialmente immutato anche oggi, che avremmo le conoscenze culturali e gli strumenti per adottare sistemi meno dispendiosi. Il problema, come dicevo, è che mentre abbiamo nel dna le doti per influenzarci a vicenda, solo difficoltosamente (e solo un numero ristretto) acquisiamo le conoscenze per scambiarci efficacemente le informazioni.

E’ anche evidente quello cui accennavo all’inizio, cioè che di fatto la società è una rete di potere, e non una gerarchia. O in altre parole, anche le persone più in alto nella scala gerarchica (cioè quelle che possono influenzare direttamente o indirettamente un maggior numero di altre persone) sono a loro volta influenzati da altri, nei modi e per i motivi più disparati.

In tutto questo ragionamento è infatti interessante studiare le miriadi di modi in cui noi esseri umani possiamo influenzarci a vicenda. Gli animali hanno una gamma ristretta di modalità di comunicazione a disposizione. Lo scontro fisico, la minaccia (ringhiare), l’emissione di odori attrattivi o repulsivi (anche per marcare il territorio, ad esempio), e cose simili. Alcune specie possono sicuramente conoscere l’attaccamento affettivo e l’attaccamento al branco, ma dubito che possa essere usato dagli altri della stessa specie o di altre specie, per controllare artatamente il comportamento di un individuo o di gruppi (cosa invece che molti esseri umani privi di scrupoli fanno).

Perciò mentre gli animali vivono essenzialmente nel “qui ed ora”, noi esseri umani viviamo essenzialmente nel “com’era” e “come vorremmo che fosse”. Di conseguenza la quantità di mezzi che abbiamo a disposizione per influenzare le azioni degli altri è enormemente maggiore. Si pensi ad esempio al rimorso, al desiderio di vendetta, ai ricatti, alla gelosia, alla diffamazione, ai tradimenti, alla gratitudine, al senso del dovere, alla simpatia verso qualcuno, ai legami di sangue, all’innamoramento, al desiderio sessuale (tira più un pel…), al senso di appartenenza (ad un gruppo, un’etnia, un’idea, una religione, una patria, etc.), alle superstizioni, al senso dell’onore, al desiderio di possedere qualcosa, alla paura di perdere qualcosa, etc.

Tutto questo può essere manipolato in maniera più o meno conscia da chi ci sta intorno. Sia per instillarci uno di questi “sentimenti” (si pensi a quanti si fanno manipolare dalle belle donne o dai capipopolo), sia per usarli per farci fare qualcosa. Che potrebbe essere, a sua volta, usare qualcun altro, o anche solo partecipare a predisporre il terreno affinché qualcuno che magari neanche conosciamo, possa essere manipolato. Non occorrono i libri di psicologia e di sociologia: i romanzi e le cronache sono pieni di esempi che spiegano dettagliatamente i tanti possibili funzionamenti del potere reciproco.

Il potere sugli altri può essere esso stesso oggetto di scambio, il famoso “do ut des”. Un esempio banale potrebbe essere il padre che concede la figlia in sposa in cambio di un lavoro per gli altri figli, o il militare fatto ostaggio per ottenere delle concessioni. Ma la politica è piena di casi di “corruzione” (vedasi sotto il perché del virgolettato), e anche nella vita quotidiana ci si fa normalmente dei favori reciproci. E’ anche per questo che la società è una rete di potere e non una gerarchia: anche gli “uomini di potere” hanno molti favori da ricambiare, e ci saranno varie persone che possono ricattarli.

A ragionarci un attimo, qualsiasi rapporto commerciale è di fatto uno scambio di favori, ovvero uno scambio di potere. Ed i codici di legge altro non fanno che tentare di regolare i modi in cui tale potere può e non può essere esercitato. Non è un caso, essendo noi esseri umani degli specialisti nell’esercizio del potere reciproco, che siamo così ossessionati dal tentare di regolamentarlo, tanto da riuscire a creare dei sistemi ingarbugliatissimi per decidere chi può o non può influenzare qualcun altro in un certo modo o in un altro.

Difatti, il razionalista rimane sconcertato tanto di fronte alla inutile complessità della macchina burocratica/legislativa, tanto dal fatto che comunque gli esseri umani non rispettano le regole che essi stessi si sono dati. Tutto ciò è totalmente irrazionale. O meglio, lo sarebbe, se il fine fosse di minimizzare gli sprechi (oltre alle ingiustizie – ed a mio parere le cose vanno molto di pari passo, ma cercherò di dimostrarlo in qualche altro articolo…).

Se invece si guarda il tutto dal punto di vista evolutivo, è evidente il motivo per cui usiamo ogni mezzo per fregarci a vicenda. Ed è evidente perché tanta gente vota i politici che senza vergogna sostengono che la corruzione è il lubrificante dell’economia. E’ scritto nel nostro dna, è inutile rifiutarlo ed isolarsi perché irrazionale ed ingiusto. Da bravi razionalisti, dovremo invece fare i conti con questo “istinto” di ciascuno ad influenzare il prossimo, per tentare di trovare una mediazione tra questa forma di comunicazione primitiva e le forme più avanzate, che permetterebbero, tra le altre cose, anche di limitare gli sprechi, e di rendere il mondo un po’ più giusto.

D’altronde, come membri della società siamo inevitabilmente parte di questo gioco. Rifiutare (perché ingiusto e/o irragionevole) il ruolo attivo nell’influenzare gli altri, non ci risparmia dal subire il ruolo passivo dell’influenza degli altri su di noi. Rischiamo (come spessissimo accade) perciò non solo di farci sfruttare, ma anche di fare la figura dei fessi.

Dobbiamo perciò imparare (sicuramente in ritardo, ma forse con mezzi più sofisticati rispetto a chi lo fa istintivamente da quando è nato) a saper riconoscere e gestire il potere in tutti i rapporti, almeno quelli lavorativi e politici. Monitorare la situazione per scoprire quali leve possiamo usare per influenzare l’altro, e quali può usare lui su di noi; renderci conto di quali altri rapporti di potere esistono, anche latenti o potenziali, e capire se possono essere usati contro di noi o se li possiamo usare a nostro vantaggio; essere coscienti se entriamo in giochi di potere già in atto e se veniamo usati (o rischiamo di venire usati) in scambi di potere tra altre persone (ed eventualmente usare tale conoscenza per trarne vantaggio); e così via dicendo.

In termini pratici, la lezione è che fidarsi è bene, non fidarsi è meglio. Spesso a causa dell’immagine di un mondo ideale, ci poniamo totalmente disarmati nei confronti delle persone che non aspettano altro che poterci sfruttare (ripeto, soprattutto nel campo lavorativo e politico). Allora, prima di fare delle mosse che possono rivelarsi un boomerang, occorre chiedersi “come posso tutelarmi?” “cosa ho io che lui vuole?” “come posso influenzarlo per farmi dare ciò che io voglio?”, etc. E’ probabile che più si andrà avanti, più si rimarrà sconcertati dalla complessa rete di influenze di cui si è coscienti e che si tenta a nostra volta di influenzare. Ad esempio si potrebbe fare un favore a qualcuno per poi ottenere in cambio che influenzi qualcun altro a parlare bene di noi a qualcun altro ancora.

E’ dal rendermi conto della complessità delle reti di potere che esistono tra le persone realmente influenti, che ho iniziato ad elaborare la “teoria” qui esposta. Mi sono infatti reso conto che la vera capacità che hanno le “persone di successo/di potere” è non solo quella di saper naturalmente manipolare le altre persone, ma soprattutto quella di riuscire a gestire (inteso sia come “tenere a mente”, sia come “trovare i modi di trasformare”) reti estremamente complesse di potere, in cui loro sono tanto manipolatori che manipolati (come tutti noi, d’altronde, con la differenza che loro trovano la cosa perfettamente accettabile e naturale).

L’intera storia, a ben guardarla, non è altro che una lunga complessissima rete di influenze reciproche tra tutte le persone che sono vissute. L’umanità ha giocato da sempre, più o meno consciamente, al gioco del potere e del controllo, e l’uomo si è evoluto fino a diventare una perfetta macchina per gestire i rapporti di influenza reciproca.

Allora meglio essere coscienti delle forze che governano i rapporti, delle vere regole del “gioco sociale”, così da poterle riconoscere in azione, e riuscire ad influenzarle ed indirizzarle, possibilmente non tanto per il proprio tornaconto personale, quanto per far funzionare un po’ meglio il mondo (che, di certo, non ce ne sarà comunque grato).

Insomma, in conclusione, è irrazionale dire “io a questo gioco non ci gioco”, perché, volenti o nolenti, ce l’abbiamo scritto nel dna.

 

Beh… temo di essermi dilungato un po’ troppo. Delle altre idee parlerò nei prossimi post. Ve ne anticipo però una, ovvero un tentativo di risolvere il dilemma razionalista della spiritualità tramite un approccio cognitivista. So di non avervi messo neanche un filo di curiosità. Vabbè, almeno però ci ho provato. Aggiungo che, visto che c’è varia gente che passa e legge, non mi dispiacerebbe se commentasse (intendo, a parte i soliti noti). Su certi argomenti sarebbe interessante intavolare un dibattito. O sono troppo pallosi?

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