Source Code (il film)

Stasera abbiamo visto il secondo film di Duncan Jones, l’autore di Moon (altro splendido film): Source Code, appunto. Lo so che avevo promesso di scrivere di cose più serie, ma adesso mi va di scrivere di questo, visto che in giro su internet, come al solito, ho letto quintali di fesserie di gente che si poneva le domande sbagliate dando ovviamente risposte sbagliate (in quanto insensate – se una interpretazione è sensata ovviamente la accetto come possibile).

Purtroppo è un classico che su film (e libri) “contorti” la gente si ferma a riflettere per dare la spiegazione ai problemi “di prim’ordine” (che in realtà con un po’ di intelligenza si risolvono facilmente, senza spiegazioni “ultraterrene”) e non arriva a considerare i problemi di “n-ordine” che invece gli autori lasciano volontariamente (e furbescamente) senza spiegazione.

L’idiozia della gente è una di quelle cose che mi fa sempre arrabbiare, e se non posso impedire a milioni di persone di votare dei cretini disonesti, di andarsene in giro a tossire in metro ed in autobus quando hanno la febbre, di blaterare idiozie contro la contraccezione e l’aborto, etc., posso almeno fornire al mondo una spiegazione sensata ad un film.

Per chi non l’avesse ancora visto, consiglio di saltare la lettura del seguito del post in quanto è un unico enorme spoiler.

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Bene, deduco che abbiate visto il film. Per chi non l’avesse visto riassumo la trama: Stevens è un militare che è quasi morto in Afghanistan. Viene attaccato ad una macchina che lo tiene in “vita” in una sorta di realtà simulata, ma all’inizio del film non ne è cosciente. Nella realtà “reale” del film, la mattina un terrorista aveva fatto esplodere una bomba su un treno, ma si sospettava che stesse per compiere un attentato molto più grande con una bomba nucleare. Decidono perciò di tentare di usare un progetto pilota, Source Code appunto, per scoprire chi fosse l’attentatore. La spiegazione ufficiale che dà a Stevens l’inventore del progetto (a metà film) è che nel momento in cui stava morendo erano riusciti a “congelare” gli ultimi 8 minuti di memoria di una delle vittime dell’attentato (tale Sean Fentress), e tramite tali memorie potevano costruire una simulazione in cui Stevens si trovava a rivivere quegli 8 minuti nei panni di Sean.

Incalzato dai creatori del progetto, Stevens si ritrova a rivivere ripetutamente quegli 8 minuti, con il compito di scoprire chi, sul treno, fosse l’attentatore (prima che nel “mondo reale” fa zompare in aria l’intera Chicago). Ha modo così di conoscere la ragazza con cui Sean flirtava (Christina) e varia altra gente sul treno, un po’ stile “Ricomincio da capo” (film spassosissimo che consiglio vivamente).

Scopre così dov’è la bomba sul treno, che è collegata a due cellulari, trova il terrorista ed il camioncino in cui tiene la bomba nucleare, e finita tale “simulazione” comunica agli inventori del progetto queste informazioni, che permettono di arrestare il terrorista in tempo.

Come ricompensa chiede alla tizia (Goodwin) con cui comunicava tramite le macchine, di fargli rivivere un’ultima volta quegli 8 minuti e poi di staccare la macchina che lo tiene in vita, convinto che in realtà quella non sia una simulazione e che lui può evitare anche l’esplosione della bomba sul treno, e vivere poi felicemente con Christina. Goodwin lo accontenta, e in questi ultimi 8 minuti lui riesce a bloccare e far arrestare il terrorista, disinnescare la bomba, inviare una email a Goodwin stessa (in cui spiega che se lei legge tale email è perché in realtà il progetto Source Code fa molto più che creare delle simulazioni, creando in realtà vere e proprie realtà parallele), e alla fine degli 8 minuti il mondo “simulato”, dopo un momento di suspense hollywoodiana, continua per la sua strada, con lui e Christina che arrivano a Chicago sani e salvi e iniziano la loro vita insieme, e con Goodwin che riceve l’email e capisce che qualcosa non quadra, in quanto Stevens, che lei vede dentro la macchina senza essere ancora stato mai “usato”, le ha scritto cose che non poteva sapere.

Come detto, ho letto di tutto a tal proposito. Per fortuna il regista si è degnato di dare una spiegazione ufficiale, e per fortuna tale spiegazione coincide con quella trovata da me ed Isabella. Vale a dire che ogni volta che fanno partire una “simulazione”, in realtà creano un mondo parallelo, in cui la memoria di Stevens viene “impiantata” nel corpo di Sean, ma ci lasciano una sorta di “link”. Passati gli otto minuti, prelevano la memoria da Sean/Stevens e la rimettono dentro il corpo (quasi morto) di Stevens, per interagirci tramite le macchine. Ma il mondo parallelo creato continua per la sua strada (la maggior parte senza Sean/Stevens in quanto il treno esplode, oppure Sean/Stevens muore per altri motivi – molto furbo chi ha scritto il copione, così lo spettatore pensa che la morte di Sean/Stevens sia inevitabile), peccato che noi non lo vediamo in quanto abbiamo il punto di vista della realtà “madre” e quindi degli sperimentatori, che pensano che una volta “estratto” Stevens, la simulazione finisce (o forse non lo pensano, ma lo lasciano credere a Stevens, e quindi a noi).

Perciò, il mondo “A” crea n mondi paralleli “B1”, “B2”, “Bn”, in cui Stevens, nel corpo di Sean, fa svariate cose (e spesso muore, e spesso quindi il terrorista riesce a far zompare in aria Chicago). Ma nessuno ci assicura che il mondo “A” non può essere a sua volta stato creato da un mondo “padre”, ipotesi che viene anzi lasciata intendere dalla raccomandazione di Sean/Stevens a Goodwin, nella email, di dire a Stevens, quando verrà usato per la prima volta, che “tutto andrà bene”, cioè proprio ciò che Goodwin dice a Stevens all’inizio del film.

Tornando perciò alla dinamica del film, la realtà “Bn” che vediamo alla fine del film, in cui Goodwin riceve la mail, Sean/Stevens passeggia con Christina, il terrorista viene arrestato, e Stevens sta ancora “dormiente” dentro la macchina in attesa della prima “missione”, è solo l’ultima delle realtà parallele create, a partire dalla realtà “A”, dal progetto Source Code. Il fatto che nella realtà “A” Stevens muoia potrebbe addirittura essere irrilevante. L’unica differenza è che contrariamente alle altre volte, la memoria di Sean/Stevens dopo gli 8 minuti di realtà parallela, non viene “ricopiata” da “Bn” nel corpo di Stevens in “A”. Noi abbiamo visto l’intero film con gli “occhi” di tale memoria che viene copiata avanti e indietro (tra la realtà “A” e le varie “B1”, “B2”, “Bn-1”) e perciò non sappiamo che gli altri mondi continuano per la loro strada. Il momento “congelato” di suspense alla fine del film starebbe quindi ad indicare un passaggio di punto di vista, dalla memoria di Stevens “linkata” con “A” (non esistendo più Stevens in “A”, anche il link presumibilmente si dissolve) alla memoria di Sean/Stevens che continuerà ad esistere solo in “Bn”.

E fin qui la spiegazione ai problemi “banali”, o di prim’ordine, come ho detto prima.

Ciò che rimane inspiegato nel film è invece come mai gli inventori del progetto Source Code siano convinti di creare una simulazione a partire dalla memoria “congelata” di un tizio morto, e non si rendano conto che con solo tale memoria Stevens sarebbe in grado solo di guardarsi intorno dal sedile del treno dove presumibilmente Sean era rimasto seduto per tutti gli 8 minuti, e non certo di scendere dal treno e scoprire la bomba dentro al camioncino.

Il fatto che loro si attendano che Stevens sia in grado di andare in giro per il treno (e fuori dal treno) è probabilmente indice del fatto che sanno che non è una semplice simulazione ma una realtà parallela.

E qui nasce la domanda di terz’ordine, ovvero come potevano accedere a/creare una realtà parallela ad un istante di varie ore precedente quello della “realtà reale”. In altri termini: la realtà “A”, alle ore 13, crea/si collega con la realtà “Bx” alle ore 7. Dopo otto minuti (trascorsi in entrambe le realtà), tramite tale collegamento inter/universi/con/fuso/orario, la realtà “A” recupera le memorie di Sean/Stevens da “Bx” e le riversa dentro “Stevens” dentro “A”. Dopo aver chiacchierato un po’ con Stevens/con/memoria/aggiornata, alle 13.15 la realtà “A” crea/si collega con una “nuova” realtà “Bx”, sempre alle 7. Insomma, ‘sto fuso orario è pure scorrevole!

In ogni caso, essendo un film di fantascienza, se uno da per buono tutto il resto, ci può anche stare che si riesca ad accedere ad universi paralleli in tempi “sfasati”.

In tutto ciò, a questo punto non si capisce che cavolo c’entra la storia della memoria “congelata” degli ultimi 8 minuti vissuti dalla vittima dell’attentato (cioè Sean morto della realtà “A”). Che ruolo avrebbe in questi collegamenti inter/universo? O è solo una panzana che si inventano per far star buono Stevens? Ma se è una panzana, perché non far tornare Stevens più indietro, o non fargli impersonare ogni volta qualcuno diverso?

Alla fine dei conti, rimane però la considerazione che alcuni dei commentatori meno idioti hanno fatto: ma in tutte le varie realtà “Bx”, che ne è stato della memoria di Sean? ‘Sto poraccio ha fatto tanto per ingraziarsi Christina, e poi arriva Stevens bello bello a raccogliere? E mica è giusto! :)

In ogni caso, Duncan Jones si conferma un regista da tenere d’occhio. Anche dopo Moon abbiamo avuto lunghe discussioni (ed ho letto quintalate di commenti idioti) per scovarne le ramificate implicazioni, e se non ricordo male (dovrei rivederlo) arrivammo alla conclusione che tranne un paio di artifici scenici (tipo Sean/Stevens che muore ogni volta alla fine degli 8 minuti – almeno per le “ripetizioni” che noi vediamo) l’intero film aveva una perfetta struttura logica. Cosa che non si può invece dire di altri film “contorti” tipo “Donnie Darko”, “L’esercito delle 12 scimmie”, etc.

A proposito di Donnie Darko, visto recentemente ad ere di distanza dalla sua uscita (almeno in termini internettistici: il sito del film non esiste più, ed i siti che ne discutono sono fatti con tecnologie da Web 0.1 :D ), mi sono alla fine convinto che l’unica spiegazione sensata (che contrasta con quella “ufficiale” fornita tramite le pagine del finto libro sulla filosofia del viaggio nel tempo) sia che quello che vediamo durante l’intero film non sia altro che la ricostruzione allucinata (nella mente di Donnie, ormai in ospedale psichiatrico, e convinto di essere morto schiacciato dal motore dell’aereo) dei fatti che Donnie ha vissuto realmente prima di impazzire definitivamente a causa della morte di Gretchen. Alla fine del film, pur di sfuggire alla realtà dolorosa della morte di Gretchen, si convince di poter tornare indietro e morire schiacciato. Il finale del film sarebbe perciò l’allucinazione che lui crede essere la “nuova realtà” da lui creata, e segna quindi l’inizio del suo totale impazzimento. A causa della sua paranoia poi va a modificare nella sua memoria i vari avvenimenti realmente accaduti (che nella sua follia ora appartengono all’universo “tangente”, che non esiste più) così da costruirsi una ricostruzione che lo vede come “predestinato” per salvare il mondo (e Gretchen). Tale ricostruzione è quella poi che vediamo noi spettatori (benché di fatto ci siano pochissime cose che non sarebbero potute accadere come le vediamo, e che Donnie deve perciò aver modificato nella sua memoria).

Vi lascio invece con una delle tante interpretazioni di “Source Code” che ho letto, e che potrebbe non essere così idiota (ci devo riflettere bene…). E se fosse stata invece Goldwin a stare in “sospensione” e vivere l’intero film in una simulazione? Come detto, non è la spiegazione “ufficiale” del regista, ma… magari può funzionare.

Categoria(e): Cinema, Commenti, Divagazioni, Recensioni

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